equivale ad immergersi in un caleidoscopio di immagini e colori di forte potere disorientante. E’ difficile nei suoi quadri mettere a fuoco un nucleo centrale, una figura un animale un oggetto che siano portanti nell’economia della narrazione. Eppure c’è sempre un equilibrio compositivo che riesce a tenere l’attenzione, che induce all’analisi di ogni singolo elemento, che invoglia alla lettura approfondita dell’opera.Penso che sia superfluo mettersi ad elencare o a ricercare le molteplici citazioni culturali che popolano le sue realizzazioni. Basti dire quanto sia evidente la sua ampia cultura che si avvale di conoscenze europee ed extraeuropee e come egli riesca a fonderle assieme cogliendo suggestioni dalle varie esperienze per amalgamarle in quello che chiaramente è diventato stile, cioè un modo espressivo proprio, assolutamente originale, inconfondibile. Grazie ad una felice quanto acuta sensibilità cromatica, Caruso riesce ad accostare colori caldi e freddi in tonalità vivacissime ed in ritmi assordanti senza soluzioni di continuità tanto che la campitura diventa un unicum indissolubile. Il colore è certamente la parte più espressiva dei suoi quadri: è il colore che provoca il primo impatto sul fruitore dell’opera; è il colore che invita alla lettura; è il colore che guida ed attira lo sguardo conducendolo a scoprire e ad approfondire particolari che poi risultano essere paragrafi o addirittura capitoli di un racconto complesso e mai terminato. Perché quel racconto apre spazi vastissimi in cui il lettore si può inserire costruendo magari altri capitoli o altre narrazioni. E’ come un sogno, o un incubo, che si allarga, si espande in abissi psichici da cui emergono, coinvolgendo, tutti i dubbi, le incertezze, le insicurezze, i desideri, le speranze, le frustrazioni che ci teniamo dentro a salvaguardia di una consuetudine di vita che ha perso ogni barlume di spontaneità. Ne sono portatori quegli sguardi fissi, esterrefatti, che non comunicano perché non vedono, ma guardano oltre, verso una dimensione altra che condanna il soggetto ad una profonda solitudine esistenziale; quei paesaggi e quegli scorci immersi nel silenzio; quelle onde di un mare che sembra statico, che fanno pensare più ad un fermo d’immagine che al movimento.
E poi ci sono gli accostamenti figurali: volti di un realismo contaminato dall’onirico, tanto che sovente risultano deformati, come visti attraverso una lente, che poi è l’occhio dell’inconscio, che ne appiattisce l’effetto plastico, immersi in atmosfere o da esse avvolti, che ricordano le casuali e irrazionali forme del caleidoscopio appunto, in cui la pittura si fa gesto che si lascia guidare più dall’istinto che da un’idea progettuale. Quei volti (o paesaggi, o scorci, o marine) emergenti da quelle atmosfere si caricano di una significazione altamente liberatoria: sono il rifugio dell’artista che in essi trova la via di fuga (ma anche per contro di denuncia) da una realtà alienante e monotona, dove ormai non c’è più spazio per il sogno e per la fantasia. Nei disegni (china e matita a volte arricchite da una tempera monocroma) la crudezza del segno e la dicotomia bianco e nero, rendono più drammatiche e più incisive le stesse tematiche trattate in pittura. Qui non si è distratti dalla valanga esuberante di colori. Qui l’artista, affidandosi quasi esclusivamente alla figurazione, arricchita da complementi di tipo calligrafico, riesce a comunicare, con una limpidezza pressoché allucinante, il vuoto esistenziale che impera nella società contemporanea.

Settembre 2007

Umberto Marinello